Un suocero, un collega e una strada
Assegnato a Pisa al professor Zygmunt Guido Baranski il Premio “Galileo Galilei” dei Rotary italiani. Al professor Pasquale Steduto il riconoscimento per la Scienza.
di Tommaso Strambi
Un suocero, un collega e una strada dall’altra parte dell’Oceano. Tre elementi tra loro apparentemente scollegati e privi di senso, se presi singolarmente. Eppure, sono proprio questi tre fili – a dispetto dell’agnosticismo benevolo professato dal protagonista – che hanno caratterizzato la 61^ edizione del Premio Internazionale Galileo Galilei dei Rotary Club Italiani celebrato lo scorso 2 ottobre a Pisa.
Il suocero (con una lunga affiliazione al Rotary Club della sua città inglese), il collega all’Università di Cambridge (allievo alla Scuola Normale di Pisa dell’indimenticato professor Tristano Bolelli, ‘padre’ proprio del Premio Galilei) e la strada di Chicago ‘a due passi’ da quella in cui Paul Harris e i suoi amici fondarono il Rotary Club, hanno infatti segnato la vita del professor Zygmunt Guido Baranski, storico della letteratura italiana, inglese ma di origini polacche e italiane, vincitore appunto del Premio Internazionale “Galileo Galilei”.
E, così, la cerimonia che procedeva secondo l’usuale e rigido protocollo (con il saluto del Pdg del Distretto 2031 Luigi Viana, del Coordinator della Regione 15 del Rotary International Massimo Ballotta, del rettore dell’Università di Pisa Paolo Mancarella e del vice sindaco di Pisa Massimo Dringoli, del presidente della Fondazione Premio Galilei Gianvito Giannelli), e subito dopo l’intervento inviato via audio (in quanto bloccato in America) dal professor Pasquale Steduto, vincitore del Premio dedicato alla Scienza, ha preso una piega del tutto inaspettata nel momento in cui è spettato al professor Baranski pronunciare la sua prolusione. Chi si aspettava una lectio magistralis tradizionale è rimasto del tutto spiazzato. Quella del professor Baranski, infatti, è stata “una scossa, una scintilla, un sequestro emotivo”, ha commentato a caldo una delle ospiti presenti.
Sì, perché uno dei più grandi studiosi mondiali di Dante, professore di alcune delle maggiori Università internazionali, ha letteralmente ‘rapito’ i presenti’, come un perfetto showman, adottando, in perfetto italiano, un linguaggio popolare, come del resto “fece Dante”, ma perfettamente mirato, diretto ad inviare alcuni messaggi chiave: le sue origini umili (ma da genitori capaci di trasmettere valori culturali e le basi per l’evoluzione di un pensiero critico), l’essere stato migrante in un paese straniero (che, ha saputo dare, come a volte gli migranti possono fare, un grande, originale, contributo alla società che lo ha accolto), ma anche la dedizione assoluta ai suoi studenti, il cardine del suo impegno primario (“evocare e coltivare l’interesse e la passione in chi mi ha scelto come professore!”). E non solo. Baranski, partendo dai tre fili che lo legano al Premio e al Rotary ha rivendicato il suo “agnosticismo benevolo”, che traduce la sua assoluta tolleranza, ma rivendica il motto inciso sul marmo alla parete dell’Aula Magna: homo potest quantum scit e non gli impedisce di arrivare a definire, alla luce dei sui lunghi studi, un aspetto fondamentale dell’opera lettararia di Dante: la religiosità. Quel Dante che, per Baranski, “è il più grande, incontrastato, autore della letteratura italiana”. “Anche se non avesse scritto la Divina Commedia – osserva Baranski -, basterebbero le altre opere, che minori non sono, per continuare a considerarlo un pilastro fondamentale della letteratura italiana ed occidentale”.
Un ars oratoria che ha rapito i presenti e che ha rappresentato più che una lectio magistralis.
Il Premio dedicato alla Scienza, di qualche decennio più giovane rispetto a quello dedicato all’area umanistica, come dicevamo, invece è stato assegnato al professor Pasquale Steduto docente all’Università di Bari e impegnato per conto della Fai nello studio dei problemi connessi all’uso delle risorse idriche in agricoltura.
Ancora una volta, dunque, il Premio Internazionale Galileo Galilei, grazie all’intuizione e alla capacità visionaria del professor Tristano Bolelli, già presidente del Rotary Club Pisa, ma soprattutto glottologo di fama internazionale oltre che vice direttore della Scuola Normale Superiore, si è confermato per il suo altissimo livello che lo porta ad essere considerato nell’ambito dell’Accademia, come il Nobel italiano.
E non è un caso che questo Premio sia nato a Pisa. Qui Galilei ebbe i natali e qui condusse i primi studi che lo portarono a divenire il padre del metodo scientifico. Pisa con la sua secolare Università è da sempre l’humus ideale per la formazione dei giovani studenti che vi trovano una comunità accademica di primo ordine, laboratori avanzati per la ricerca, biblioteche ricche di volumi per i coltivare e approfondire i propri studi. E non è un caso che qui sono sorte nel corso degli anni prima la Scuola Normale Superiore e poi la Scuola Superiore Sant’Anna, fucine di letterati e scienziati che si sono distinti nel mondo con i propri studi ottenendo importanti riconoscimenti tra cui i premi Nobel.
Pisa è da sempre luogo di cultura e di scienza. Qui, come detto, si sono formate generazioni di ricercatori che hanno contribuito allo sviluppo di teorie e di scoperte innovative che hanno cambiato spesso il corso della storia, a cominciare appunto da Galileo Galilei. Ed è sempre qui che a cavallo degli anni Sessanta-Settanta si sono poste le basi dell’informatica che nei decenni successivi ha cambiato la tecnologia. Pensate che oggi nella Silicon Valley, dove si trovano le aziende con il più alto tasso di innovazione oltre che di capitalizzazione, operano centinaia di giovani ‘pisani’. Ecco perché il Premio Internazionale “Galileo Galilei” rappresenta la più alta espressione del Rotary italiano. Un Premio da custodire e conservare gelosamente come una punta di diamante di tutti i Rotary italiani. In un’epoca contrassegnata da continui e rapidissimi cambiamenti (pensate alla lentezza della rivoluzione industriale di fine Ottocento, rispetto a quella tecnologica degli ultimi anni), infatti, il tema della consapevolezza delle radici è decisiva per non finire smarriti o travolti dalla paura del cambiamento, del diverso.